Vale la pena di ascoltare e ascoltarsi
[…] Un binario. Due linee parallele che corrono, sempre ugualmente distanti e sempre ugualmente vicine, inframmezzate solo da meraviglia e stupore, dalla magia sempre nuova e affascinante di pensare e fare in modo creativo. Un cammino lineare e mutevole, continuo, un viaggio sorprendente, armonico e sofferto in una selva di sorprese rigeneranti: questa la mia esperienza con l'arte; questa la mia esperienza di insegnante.
[…] 1970. Dicembre. Squilla il telefono: una voce maschile mi informa che sono incaricata per una supplenza annuale nelle ore di Doposcuola in una Scuola media. Dovrò insegnare Disegno e, aggiunge il Preside, "Vista la Sua frequenza al corso di Scenografia dell'Accademia di Brera, se lo desidera e le riesce di coinvolgere i ragazzi, può organizzare qualche recita".
Con questa frase sono stata accolta dal mondo della scuola, e con pensieri e progetti appassionanti, forse anche un po' troppo ottimista, ho intrapreso la professione dell'insegnante.
Il mio intento prioritario era quello di voler essere l'artista-educatore-insegnante che lavora e progetta con i ragazzi-allievi-artisti, trasmettendo loro le conoscenze acquisite, ma con i quali soprattutto fare... Non sapevo cosa. Ma sicuramente qualcosa di entusiasmante.
[…]1971. Giugno: consigli di classe. In questi miei primi mesi di esperienza scolastica ho capito molto chiaramente una cosa: l'attività grafico-pittorica nella scuola gode di una incredibile condizione di emarginazione; l'Educazione Artistica viene considerata una materia di serie B, o nella migliore delle ipotesi, al servizio di altre materie, oppure ancora, piacevole diversivo da relegare nei ritagli di tempo o, semmai, da elargire come premio.
Come non capire che nella odierna società l'immagine occupa un posto sempre più rilevante? Come non capire che il disegno di un bambino, anche a scuola, offre modalità espressive uniche e permette di imboccare più facili ed accessibili vie per entrare in comunicazione con lui?
Come, cosa fare perché la creatività nel mondo della scuola non sia considerata follia, momento ludico, estemporaneo episodio fine a se stesso?
Bisogna trovare strategie nuove, attivare una vera e propria rivoluzione perché materie come Educazione Artistica, Educazione Musicale, ma anche Educazione Fisica, che paiono considerate le cenerentole della scuola, vengano liberate da questa condizione e rivalutate, attribuendo loro un nuovo e più complesso ruolo educativo-formativo.
Bisogna attivare esperienze provocatorie per stimolare una intensa carica emotiva nei confronti dei ragazzi verso tali materie, che avvertono come non importanti, ma soprattutto inventare significati intelligenti che le rivalutino in particolar modo agli occhi dei colleghi, insegnanti e preside.
"Che fare ?"
"... Devo trovare un senso..."
[…] Un filo sottile, a volte invisibile, a volte ingarbugliato, ha legato, rivelato e chiarito i miei sforzi, le mie tensioni, i miei sempre più convinti tentativi nel succedersi di tempo, classi e ragazzi, con un avvicendarsi di percorsi di suggestioni, emozioni, entusiasmi.
E non solo per i ragazzi...
La voglia di fare qualcosa di nuovo e sempre stimolante, non poteva essere sopita. Non sapevo fare altrimenti. " Ho un'idea ", scherzosamente i ragazzi mi chiamavano... Ma, in gara frenetica mi comunicavano le loro... E nascevano i progetti.
[…] E' proprio strano come talvolta un ragazzo, che magari appare più riservato di altri, da cui non ci si aspetta molto, in cui non si cerca molto, possa dare un contributo, un suggerimento, un apporto determinante, significativo di un bagaglio proprio, che prima teneva segreto.
Ho col tempo scoperto che, se l'insegnante è attento ai bisogni del ragazzo, non occupa interamente l'ora della lezione, o magari il progetto di lavoro con i suoi intenti, le sue idee, le sue osservazioni, ma lascia uno spazio in cui l'allievo, l'altro, differente da lui, possa ancora dire, modificare, aggiungere una parola sull'argomento. Coordina, semmai, i precipitosi e incontenibili interventi dei ragazzi, li trae a sé con le parole, fa ondeggiare davanti a loro le immagini del progetto in modo da farlo apparire sempre pronto, attuabile, ma ridefinibile in ogni istante grazie ai loro contributi e, soprattutto, lo fa divenire individuale, proprio di ognuno.
La proposta in questi termini non soffoca i ragazzi, diventa un cassetto contenitore di cianfrusaglie, nel quale è curioso perdersi.
Diversamente non è possibile. E' inaccettabile offrire un percorso già definito: tiene il ragazzo inchiodato alla sedia. Il progetto, definito in ogni sua parte, lo tiene prigioniero, soffocandolo con immagini già costituite, immagini dove diventa impossibile girovagare con la propria libertà, fantasia e creatività. Lì non c'è bisogno della propria personale disponibilità… E' ‚ una scena priva di azione potente, coinvolgente, che emozioni, e quindi non parla al cuore. Ed il ragazzo " E' attento ... non fiata". E forse . .. non ascolta. Non sente ... E' in silenzio.
Viceversa, se tutto appare vago, ma meraviglioso, misteriosamente slegato, allora il ragazzo si sforza di capire: polemizza, critica apertamente. Si pone però sulla soglia, osserva, medita, grida e piano piano entra ... e costruisce il suo percorso.
Questo spazio di tempo che precede la decisione di partecipare è molto importante. E' lui che decide. E' lui che prende iniziativa. E' lui, infine, che si guarda dentro, che cerca gli utili frammenti dispersi delle sue conoscenze, ma è ancora lui che cerca di intuire gli ipotetici spazi di emozione, di gioia, che il progetto potrà regalargli.
L'emozione di conoscere è il bagaglio che sin dalla nascita il bambino manifesta.
Il bambino possiede, sin da piccolo, molteplici competenze. Imparare è piacevole perchè soddisfa motivazioni intrinseche naturali e innate, non ancora sopite da pressioni sociali. Piaget afferma che già dal primo giorno di vita, gli esseri umani sono naturalmente inclini a praticare nuove competenze in vista del loro sviluppo, e che praticare nuove abilità è intrinsecamente soddisfacente.
[…] Insieme e diversi, sempre in cerca di qualcosa, non importa cosa, ma il fare insieme: non avere proposte preconfezionate, ma percorsi da scoprire.
E' stata la mia avventura di insegnante che va a caccia del nuovo, di territori ancora da esplorare. E il farlo con la freschezza e la spontaneità di bambini e ragazzi è una risorsa impensabile che vale la pena sperimentare.
[…] Guidare i ragazzi ad essere non più soltanto consumatori, ma produttori di cultura non è un'illusione pedagogica, ma è una delle straordinarie opportunità che la scuola offre all'insegnante.
Ho imparato che con i ragazzi è possibile avere il coraggio di fare anche quelle cose che riteniamo impossibili a scuola o addirittura di non saper fare; a volte meno si è preparati ad affrontare determinate situazioni, più spazio viene lasciato all'inventiva loro e di conseguenza ne deriva una maggiore volontà ed impegno nel portare a buon fine il lavoro con una gratificazione e soddisfazione non solo per i ragazzi stessi, ma anche per gli adulti.
[…] Ciò che nasce dalla coralità, dal gruppo, dall'incontro di più ragazzi che cercano, che si ascoltano, che realizzano un progetto, attiva e conserva una relazione emotiva diretta con i contenuti, con gli oggetti, con i compagni e con gli adulti.
Un progetto in fieri, in evoluzione continua, abbisogna di più personali apporti, di conoscenze che, a volte o spesso, non sono più dell'insegnante, ma specifiche di altri (che bisogna coinvolgere.... contattare ... etc.),ma anche dei ragazzi che si trovano ad essere alternativamente i leader delle situazioni e di taluni saperi.
La conoscenza non è più proprietà del singolo, l'insegnante, che la stipa in secchielli vuoti, ma diventa sabbia preziosa, di differenti colorazioni, che si spande e prende la forma dei secchielli, e vive e circola da uno all'altro, da ragazzo ad adulto a ragazzo, in una relazione che appare del tutto naturale.
[…]Utilizzare e riunire più forme espressive e differenti linguaggi, valorizzando quelli che ciascuno sente più congeniali, permette di riflettere su se stessi e su ciò che ci circonda.
Nella formulazione di un percorso il dialogo ed il confronto sono continui ed approntano i presupposti per valorizzare il fare progettuale e creativo.
[…]1991, Marzo. Ho deciso: lascio la scuola.
Dopo tante indecisioni e ripensamenti, con grande dispiacere ho consegnato la domanda di dimissioni.
Con settembre uscirò dalla Scuola.
La perdita del mio ormai consolidato e apprezzato ruolo di Prof, non mi impedirà certo di portare avanti, ancora nella scuola, quei progetti che spesso l'organizzazione scolastica con i suoi tempi e la sua burocrazia mi impedisce o limita.
Della scuola lascerò solo gli impegni: riunioni e registri!
[…] 1993. I mondi del proviamo a fare, della ricerca, della sperimentazione non sono mondi a sé stanti, ma diventano opportunità di continuazione di altri esperimenti, una variante di nuovi percorsi, diventano una metodologia di lavoro innata, che non ha più termine, ma prosegue e si perpetua quasi automaticamente di per se stessa.
"Io oggi, qui non servo" mi ritrovai a pensare in un'occasione in una III: la classe non aveva più bisogno della mia presenza se non per conferme o gratificazioni. I ragazzi avevano ben chiaro, avendolo scelto e programmato, il lavoro, le finalità e i compiti che ognuno doveva portare a termine.
[…] La necessità di lavorare ciascuno in funzione dell'altro è un contenuto fondamentale da trasmettere ai ragazzi che li costringe spontaneamente a perseguire il buon fine del lavoro.
L'adulto-insegnante si trova allora a ricoprire il ruolo di aiutante di laboratorio: può annotare, prendere coscienza degli accadimenti; ma sono i ragazzi i veri protagonisti che risultano e si sentono investiti in prima persona, come esseri unici, con la loro unicità, di un progetto comune.
Il prendere la parola, l'avere voce, l'opinione personale, individuale nel progetto corale permette di porsi ad altri, di essere, di uscire dalle incertezze, offre credibilità di sé. Chi prende la parola in un progetto, innesca in sé una forza generatrice di entusiasmi, di voglia di fare, di vitale esistenza.
continua, del mettere alla prova se stesso e l'adulto che l'affianca, è fondamentale per la formazione del ragazzo stesso, ma lo è anche per la formazione dell'adulto. E' così che si viene a definire una figura di insegnante-educatore, attento, disponibile: non più il semplice traslatore di nozioni già acquisite, un distributore di sapere fine a se stesso, ma un adulto operante che, nel momento educativo, educa se stesso e prosegue più a fondo in modo più completo, sempre nuovo, stimolante e rigenerante, il proprio percorso, la propria formazione, mantenendo naturalmente nel contempo la propria identità di adulto-insegnante con una specifica funzione.
Oggi più che mai i ragazzi non vogliono seguire le regole formali proposte, viene messo in discussione il mondo dei valori nel quale l'insegnante da sempre crede, quel metodo di lavoro che egli da sempre ha e che da sempre ha dato buoni risultati. Ma questi ragazzi soffrono sulla loro pelle tutte le contraddizioni, i miti e le follie del nostro tempo; sono all'esasperata ricerca di qualcuno che li capisca, che li sappia amare, che sappia valutare ciò che sono, ciò di cui possono fare dono agli altri: i loro sogni, la capacità di pensare, di volere, di immaginare, di lottare, di credere in ogni nuovo giorno.
Ed io, adulto, insegnante, educatore, genitore, cosa faccio?
Come mi pongo nel tentativo sincero di educare, capire, sorreggere, di non deludere, di non disperdere tali risorse, tali energie?
E come tengo vivo l'entusiasmo per far sì che ogni giorno sia la nuova pagina della mia vita?
La cultura del nostro tempo ha un evidente determinazione nel mantenere immutate tutte le sue caratteristiche e, in modo prevalente, sopita la capacità critica. Ma viene valutato il rischio, il pericolo che metodi o processi più o meno consciamente condizionanti possono generare?
C'è una bella frase che Sebastian Matta (uno dei protagonisti dell'arte contemporanea ) ha posto accanto ad una sua opera nella mostra personale del Giugno '96 a Milano: "Vivere è vibrare; essere vivo è il frutto delle tue vibrazioni e la musica delle tue vibrazioni dipende dalle qualità dei viveri che sono - ed io aggiungo che qualcuno pone - nella dispensa del tuo spirito".
Da "Vale la pena di... Pensare e fare con arte", di Eugenia Pelanda e Sara Montani, FrancoAngeli, Milano 1999.